Un matematico inventore di mondi: Leo Perutz

Negli anni, nei miei vari incontri e discussioni fra innumerevoli caffè o bicchieri più o meno alcolici, più di qualche subacqueo del pensiero portava in superfice la teoria che il lavoro ripetitivo, come può esserlo quello impiegatizio, uccida la creatività. Per quanto questa idea, credo, sia diventata un’opinione diffusa tanto da assomigliare a un luogo comune, come tutti i luoghi comuni ha delle eccezioni che, più che confermare la regola, altro luogo piuttosto battuto, la invalidano proprio.

Italo Svevo lavorò come impiegato in una banca, Joyce idem, seppur fra momenti di insegnamento della lingua inglese a Trieste e periodi di conti lasciati in giro fra padroni di casa e osterie giuliane, e pure Kafka è stato un impiegato delle Assicurazioni Generali; a Praga, non a Trieste. Negli stessi anni anche un altro scrittore era operativo nelle Assicurazioni Generali, questa volta sì, a Trieste, con il seducente ruolo di “matematico del ramo vita.”  Nondimeno Leo Perutz ebbe una produzione narrativa piuttosto notevole anche se finita nel dimenticatoio. Almeno finché l’editore Adelphi, fra i cui fondatori fu un altro personaggio di Trieste – ma questo è un altro discorso – non decise di pubblicare tutte le sue opere.

Leo Perutz nacque a Praga nel 1882 dove il padre possedeva un’industria tessile. Leo non era uno studente modello, indisciplinato e irascibile, lo avremmo definito affetto da sindrome da deficit di attenzione e iperattività o ADHD in questi tempi moderni. Nondimeno dopo che la famiglia si trasferì a Vienna, si appassionò ai numeri, riuscendo a laurearsi in matematica.

È stato un grande esponente del romanzo storico. Ma le sue storie furono storico- fantastiche, le definiremmo fantasy in questi tempi moderni, dai tratti inquietanti e intessute d’onirico. Costruttore di trame ingegnose, dove il sovrannaturale entrava strisciando nelle pieghe della realtà rendendola surreale. Un realismo magico lo definiremmo oggi, in tempi moderni. Borges lo fece conoscere in lingua spagnola, Hitchcock ne fu affascinato, e Jan Fleming, il padre dell’agente segreto con licenza di uccidere più famoso degli ultimi cento anni, lo definì geniale.

Leo Perutz subito dopo il trasferimento a Vienna, cominciò a frequentare i caffè letterari, molto in voga anche, di nuovo guarda caso, a Trieste, e cominciò a scrivere racconti. Sarebbe presto diventato famoso per romanzi di sdoppiamenti amorosi di avventure oniriche incastrate nel reale, con personaggi che percorrono le strade medievali fino a sbucare nel novecento e, soprattutto, inventò mondi. Quei mondi tanto amati da Borges, assertore convinto della letteratura come narrativa della fantasia e non del reale- sociale che fu per Borges solo del giornalismo narrato.

Borges e l’idea di letteratura

L’avvento del nazismo mise un blocco alla pubblicazione dei suoi lavori e lo portò a vivere in gravi ristrettezze economiche vista l’appartenenza sua e del suo editore ad una razza inferiore…

Nel 1938 fu costretto ad emigrare in Israele dove sentì addosso il macigno di un isolamento forzato, e smise di scrivere. Fu in quegli anni che Borges lo fece conoscere ai lettori di lingua spagnola. E nel 1953, quando ormai Perutz era stato dimenticato dal mondo, uscì “Di notte sotto il ponte di Pietra”.

Il canto del cigno.

Leo Perutz morì nel 1957 a casa di un amico, che curò poi edizioni postume di suoi scritti.